Freccina a sinistra
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Unire i puntini. Il referendum costituzionale

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di: redazione
8/9/2020
Unire i puntini. Il referendum costituzionaleUnire i puntini. Il referendum costituzionale

Da questa settimana inauguriamo una nuova rubrica: si chiama “Unire i puntini”: una volta al mese – ma, se l’attualità lo richiede, potrebbe essere un po’ più spesso – facciamo, con il nostro stile, il punto su un argomento di cui “tutti parlano” per capire meglio contenuti, punti di vista e conseguenze.

Cominciamo con il
referendum costituzionale.

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TAGLIO SÌ, TAGLIO NO
Domenica 20 e lunedì 21 settembre si vota per il referendum costituzionale relativo alla modifica degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione (Sky TG24).

In sintesi, i cambiamenti introdotti con la legge costituzionale prevedono:

  • la riduzione del numero dei deputati da 630 a 400;
  • il taglio del numero dei senatori da 315 a 200;
  • i senatori a vita, nominati dal Presidente della Repubblica, potranno essere massimo 5 in contemporanea.

Se la riforma sarà approvata, entrerà in vigore al prossimo rinnovo del Parlamento.

Nell’urna Chi vota sì al quesito referendario, vota a favore del taglio dei parlamentari. Chi vota no, sceglie di lasciare il numero di deputati e senatori uguale a quello attuale. Il referendum costituzionale non prevede la necessità di raggiungere un quorum.

  • Come cambierebbe il Parlamento con il taglio dei parlamentari (Sky TG24).

Come si vota Domenica si voterà dalle 7 alle 23 e lunedì dalle 7 alle 15. Per votare servono la tessera elettorale, un documento d’identità e la mascherina. Per chi non può andare al seggio, perché ammalato di Covid-19, in quarantena o in isolamento, dal 10 al 15 settembre può richiedere al proprio Comune di votare a domicilio (Corriere).

Com’è cominciata La legge di riforma costituzionale è stata approvata a maggioranza assoluta l’8 ottobre 2019, con il voto favorevole di M5s, Pd, Iv, Leu, partiti che sostengono il governo, e di Forza Italia, FdI e Lega per l’opposizione (Agi).

La accendiamo? A gennaio 2020, però, 71 senatori di tutti i partiti, esclusi Fratelli d’Italia e il gruppo Per le autonomie, hanno presentato la richiesta di referendum confermativo alla Corte di Cassazione (La Stampa). Questo è possibile perché per le riforme costituzionali, se l’approvazione della nuova norma non ottiene il voto favorevole di almeno i due terzi in ciascuna delle due camere, nei successivi tre mesi si può richiedere il voto popolare sulla modifica.

C’è chi dice sì Il Movimento 5 Stelle è stato il primo promotore di questa riforma, in linea con la propria politica “anti casta”. In favore sono schierati anche Lega Nord, Forza Italia – ma con successivo un distinguo fatto da Silvio Berlusconi in un’intervista su La Nazione – e Fratelli d’Italia.
Le ragioni a favore del taglio dei parlamentari sono riassunte in un post, pubblicato ad agosto, sul blog del Movimento:

  • taglio dei costi di funzionamento del Parlamento pari a cento milioni all’anno e 500 per l’intera legislatura;
  • snellimento del funzionamento delle commissioni e dell’aula;
  • limitazione della frammentazione di gruppi parlamentari, ritenuta più favorevole a “occupare poltrone” che a garantire il rispecchiamento della volontà politica dei cittadini.

Sì, ma… Il Partito Democratico, in questa situazione, figura tra gli indecisi e conta tra le sue file diversi contrari “di peso”, come Romano Prodi, Matteo Orfini, Giorgio Gori e Gianni Cuperlo: il voto positivo in Parlamento, infatti, era stato legato all’introduzione di tre correttivi, rimasti arenati a lungo anche in seguito all’emergenza sanitaria (Openpolis) – oltre a una nuova legge elettorale proporzionale con uno sbarramento al 5% – per riequilibrare il taglio dei parlamentari.
A fine agosto la maggioranza ha definito una tabella di marcia per la riforma della legge elettorale e le altre modifiche, tra cui il voto al Senato per i diciottenni e la cancellazione dell’elezione su base regionale per il Senato (Agi).

Vedo e rilancio Lunedì 7 settembre, durante la direzione del partito, il segretario Nicola Zingaretti ha proposto di votare sì, accompagnando la campagna referendaria con una raccolta di firme per il bicameralismo differenziato, nel tentativo di mettere pace nel partito e salvare l’alleanza di governo con il Movimento 5 Stelle (Repubblica). La proposta è stata approvata con 188 voti favorevoli, 18 contrari e 8 astenuti (Il Sole 24 Ore).

E invece ni! Italia Viva, da parte sua, ha deciso per lasciare libertà di voto ai propri parlamentari: Matteo Renzi ha sottolineato che, a suo avviso, si tratta di una “riforma demagogica” e dopo il referendum “servirà una vera riforma” (Fanpage).

… e chi dice no Sul fronte politico, +Europa e alcune formazioni di sinistra sono invece schierati tra i contrari alla riforma. A loro si aggiungono diversi giuristi.
Le ragioni del no sono riassumibili così:

  • secondo l’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica, il risparmio al netto delle imposte e dei contributi sarebbe di 57 milioni all’anno e 285 per la legislatura;
  • la riduzione dei parlamentari eletti ridurrebbe la rappresentatività di ognuno: oggi abbiamo un parlamentare eletto a suffragio universale ogni 63 mila abitanti; con la riforma il rapporto passerebbe a uno ogni 101 mila abitanti. Di conseguenza, il voto di un singolo elettore “peserebbe meno” nell’insieme di quelli necessari per l’elezione (Pagella Politica);
  • il ritorno a un sistema elettorale proporzionale potrebbe generare un Parlamento più frammentato, nel quale gli accordi di governo potrebbero più facilmente essere definiti dopo il voto (Il Sole 24 Ore).

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