A cinque anni dall’uscita ufficiale del Regno Unito dall’Unione europea dopo il referendum sulla Brexit, Londra e Bruxelles hanno firmato un nuovo accordo che punta a “resettare” le relazioni tra i due partner (Cnn). L’intesa copre una vasta gamma di ambiti, dalla difesa alla pesca, fino all’energia e alla mobilità giovanile, ed è stata accolta come un momento storico sia dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen sia dal primo ministro britannico Keir Starmer (Bbc). Proviamo a spiegare cosa c’è dentro questo accordo e quali sono le principali implicazioni per cittadini e imprese.
Il nuovo accordo ha come primo punto centrale la cooperazione in materia di difesa e sicurezza. L’Unione europea riconosce il ruolo strategico del Regno Unito, che rimane una delle più grandi potenze militari del continente, e intende rilanciare una collaborazione stretta, anche in funzione del sostegno comune all’Ucraina. Per Londra, questo si traduce nella possibilità di accesso al fondo Ue di prestiti per il riarmo da 150 miliardi di euro (“Safe”), oltre alla possibilità di partecipare ad operazioni congiunte civili e militari con la Ue (Il Sole 24 Ore).
Altro punto cruciale è la gestione delle risorse marine, uno dei temi-simbolo della Brexit. L’accordo proroga fino al 2038 il diritto dei pescherecci europei di operare nelle acque territoriali britanniche, una concessione che ha scatenato polemiche soprattutto in Scozia, dove il governo autonomo ha denunciato di non essere stato coinvolto nel processo decisionale. In cambio, Bruxelles ha accettato di semplificare le regole fitosanitarie e veterinarie per le esportazioni alimentari britanniche verso il mercato unico (Guardian). Questo compromesso, secondo uno studio dell’Università di Aston, potrebbe far crescere del 20% le esportazioni alimentari del Regno Unito, che nel 2024 hanno raggiunto i 14 miliardi di sterline (Euronews).
Il patto prevede anche il ritorno di Londra nel mercato europeo dell’energia. Sia l’Ue sia il Regno Unito impongono alle centrali elettriche e ad altre entità industriali un costo per ogni tonnellata metrica di CO2 emessa in atmosfera, nell’ambito degli sforzi più ampi per ridurre le emissioni e raggiungere gli obiettivi climatici. Secondo quanto riferito dal governo britannico, un migliore collegamento tra questi due sistemi, noti come Ets (“Emission Trading Schemes”), eviterà che le imprese altamente inquinanti del Regno Unito, come quelle siderurgiche, siano colpite dai dazi ambientali dell’Ue sulla CO2 emessa nelle produzioni estere in arrivo il prossimo anno (Reuters).
Per quanto riguarda la mobilità giovanile, le due parti hanno trovato un’intesa ancora parziale. Bruxelles aveva proposto un accordo che prevedesse la possibilità di soggiorno fino a quattro anni per i giovani under 30 e la possibilità per gli studenti europei di accedere alle università britanniche con rette equivalenti a quelle dei cittadini del Regno Unito. Tuttavia, Londra ha posto dei limiti, accettando soltanto un numero ristretto di visti e una durata inferiore. Come contropartita, l’Unione ha semplificato le procedure per il turismo britannico, consentendo l’uso dei varchi elettronici negli aeroporti, riducendo così le lunghe attese alle frontiere (Il Post). Regno Unito e Ue hanno trovato anche un accordo preliminare per il ritorno di Londra nel programma Erasmus+, ma i dettagli restano ancora da definire (Eunews).
Per i cittadini, il nuovo accordo significa maggiore facilità nei viaggi, meno burocrazia alle frontiere e, potenzialmente, un futuro di scambi accademici e lavorativi più accessibili (Bbc). Per le imprese, soprattutto quelle esportatrici, le nuove regole veterinarie e fitosanitarie rappresentano una boccata d’ossigeno. Le aziende britanniche attive nei settori della difesa e dell’acciaio potranno contare su maggiori tutele e opportunità di crescita all’interno del mercato europeo (Ft+). Londra stima che l'accordo varrà circa 9 miliardi di sterline all'anno per l'economia britannica entro il 2040 (Politico).
Ma facciamo un passo indietro per spiegare come si è arrivati a questo punto. Il 23 giugno del 2016, a sorpresa e con una maggioranza risicata del 3,8%, il Regno Unito ha votato per lasciare l’Ue. Al referendum è seguito un lungo periodo di instabilità politica e trattative.
L'Accordo di recesso del Regno Unito dall'Unione europea e dalla Comunità europea dell'energia atomica (Euratom) è stato firmato a Bruxelles e a Londra il 24 gennaio 2020 ed è entrato in vigore il 1° febbraio 2020. Il 31 gennaio, il premier allora in carica Boris Johnson celebrò con un simbolico conto alla rovescia l’ufficialità del divorzio, ma seguirono anni di tensioni politiche e difficoltà commerciali, che resero necessario un nuovo patto tra Ue e Uk (Il Post).
Il nuovo patto è stato spinto dalla constatazione, ormai diffusa anche nel Regno Unito, che la Brexit non ha portato i benefici promessi. Secondo diverse analisi, l’uscita dall’Unione ha comportato costi elevatissimi: si stimano oltre 30 miliardi di sterline in spese legate alla gestione della Brexit, a cui si sommano perdite in export alimentare per almeno 2,8 miliardi. Il Paese ha visto un ridimensionamento del settore finanziario londinese, un aumento dell’inflazione e un calo del potere d’acquisto. Inoltre, l’assenza di regole chiare ha portato molte aziende a rinviare o cancellare investimenti in Gran Bretagna, con un conseguente effetto negativo sull’economia (Nyt).
Molti settori strategici, soprattutto quelli legati alle esportazioni verso l’Ue, hanno faticato a trovare nuovi equilibri. Parallelamente, la migrazione netta è aumentata e si è registrato un calo nel numero di studenti europei iscritti alle università britanniche. I benefici auspicati dai sostenitori del “Leave”, come la ripresa del controllo sull’immigrazione o la crescita economica autonoma, non si sono concretizzati (Rainews).
A nove anni di distanza dal referendum del 2016, la narrazione attorno alla Brexit è cambiata profondamente. Anche tra coloro che avevano sostenuto l’uscita, cresce la consapevolezza che le promesse non siano state mantenute. Nigel Farage, volto storico della campagna per il “Leave” e oggi leader del partito sovranista Reform UK, ha nuovamente fatto sentire la propria voce, accusando il governo laburista di voler reintrodurre la libera circolazione delle persone con questo nuovo accordo (Guardian). Questa visione è condivisa da una parte del Partito Conservatore, che vede nell’intesa un ritorno indietro, una sorta di rientro nell’orbita di Bruxelles (Politico).
Starmer, che all’epoca del referendum si era schierato per il “Remain”, ha invece voluto imprimere una svolta netta alla politica estera britannica. Eletto premier nel luglio 2024 con una maggioranza schiacciante, ha promesso fin da subito un nuovo approccio con l’Ue, più costruttivo e pragmatico. Il nuovo accordo va in questa direzione, creando una cornice stabile per una cooperazione che verrà aggiornata annualmente attraverso summit bilaterali (Guardian).
Il nuovo accordo tra Regno Unito e Unione europea non è un semplice documento diplomatico, ma un segnale concreto di cambiamento. Dopo anni di divisioni e incertezze, complice un equilibrio internazionale travolto dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca con politiche protezioniste e isolazioniste, Londra e Bruxelles hanno scelto di tornare a collaborare più da vicino (Bbc). Non si tratta di una retromarcia sulla Brexit, ma di un tentativo realistico di porre rimedio a molti degli effetti negativi che l’uscita ha causato (Reuters). Resta da vedere se questo sarà il primo passo verso un riavvicinamento più profondo o se si tratterà solo di una tregua (Prospect). Ma, almeno per ora, il clima è cambiato.