Lavoro e cittadinanza sono arrivati alle urne, dopo mesi di dibattiti e iniziative che che hanno diviso profondamente politica e società. Domenica 8 e lunedì 9 giugno, in concomitanza con i ballottaggi delle amministrative, milioni di italiani saranno chiamati a votare su cinque quesiti referendari abrogativi. Per essere validi, questi referendum hanno bisogno di superare un ostacolo decisivo: il quorum. E proprio su questo si sta giocando una delle partite più importanti, anche a livello di strategia politica.
Dei cinque quesiti che saranno posti agli elettori, quattro riguardano il lavoro, uno la cittadinanza. I referendum abrogativi servono a cancellare, in tutto o in parte, una legge esistente. Perché l'esito sia valido, deve votare almeno il 50% più uno degli aventi diritto (quorum).
Può votare chi ha compiuto 18 anni. Gli italiani all'estero votano per corrispondenza. Per la prima volta, gli studenti e i lavoratori fuori sede possono votare nel comune in cui si trovano, se hanno fatto richiesta entro il 5 maggio.
Ogni elettore riceverà cinque schede di colore diverso, una per ciascun quesito:
Il quesito chiede di abrogare le norme introdotte dal Jobs Act che permettono di non reintegrare nel posto di lavoro un dipendente licenziato illegittimamente se assunto dopo il 2015.
Oggi un lavoratore di una piccola impresa licenziato in modo ingiustificato può ricevere al massimo sei mensilità come indennizzo. Il referendum propone di togliere questo tetto, lasciando al giudice la valutazione caso per caso. L’abrogazione mira a garantire risarcimenti più equi e proporzionati.
Il quesito vuole reintrodurre l'obbligo di una causale anche per i contratti inferiori a 12 mesi. Attualmente, le aziende possono stipulare questi contratti senza specificarne la motivazione. L’obiettivo è di limitare l’uso del lavoro precario, richiedendo sempre una motivazione chiara.
Il referendum propone di estendere la responsabilità per gli infortuni anche al committente, nei casi in cui il danno sia legato a rischi specifici dell’attività dell'appaltatore o del subappaltatore. L’obiettivo è di rafforzare le tutele dei lavoratori e aumentare l’attenzione delle aziende nel selezionare fornitori affidabili.
Il quesito vuole dimezzare da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale necessario per un cittadino extra-Ue per poter richiedere la cittadinanza italiana. L’obiettivo è di facilitare l’inclusione delle persone che vivono stabilmente in Italia.
Il Partito Democratico sostiene con convinzione tutti e cinque i SÌ, ponendo l'accento sul contrasto alla precarietà e sulla necessità di una cittadinanza più accessibile. Anche il Movimento 5 Stelle si esprime a favore dei quattro quesiti sul lavoro, lasciando libertà di voto sulla cittadinanza, pur con la dichiarazione personale di voto favorevole da parte di Giuseppe Conte. La coalizione di centrodestra – Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega – ha scelto invece la strada dell’astensione strategica, considerata un modo legittimo per far fallire il raggiungimento del quorum. Italia Viva e Azione si dicono contrari ai quesiti sul lavoro, che giudicano inefficaci o ideologici, ma si dichiarano favorevoli al SÌ sulla cittadinanza. Più Europa, infine, ha promosso direttamente il referendum sulla cittadinanza ed è favorevole anche al quesito sulla sicurezza nei luoghi di lavoro (Sky TG24).
Secondo l’articolo 75 della Costituzione, il risultato dei referendum abrogativi è valido solo se partecipa al voto la maggioranza di chi ne ha diritto (50%+1). Ed è proprio questo quorum che da anni costituisce il vero ostacolo dei referendum abrogativi. Negli ultimi trent’anni è stato raggiunto solo due volte: nel 1995 e nel 2011. Per via dell’affluenza molto bassa ai referendum abrogativi, da tempo si discute sull’opportunità di modificare o eliminare la soglia del quorum (Il Post). Nel 2016 ci provò l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, che nella sua (fallita) riforma costituzionale prevedeva l’abbassamento del quorum (50%+1 dei votanti alle ultime elezioni per la Camera dei deputati) se la presentazione del quesito era richiesta da più di 800 mila elettori, invece degli attuali 500 mila (Wired).
Anche il voto degli italiani all'estero, facilitato dalla “legge Tremaglia” del 2011, contribuisce a rendere più difficile il raggiungimento del quorum a causa dell’alto numero di iscritti alle liste e della bassa partecipazione. Proprio per puntare al mancato raggiungimento del quorum il centrodestra, contrario al merito dei quesiti, ha scelto la strada della non partecipazione al voto. Alcuni costituzionalisti ricordano che l’invito all’astensione è lecito se non accompagnato da abuso di potere o impedimenti materiali. Tuttavia, per molti osservatori resta una pratica politicamente discutibile, che limita il dibattito pubblico e depotenzia uno strumento previsto dalla Costituzione (Pagella Politica).
I dati raccolti da Ipsos e Demopolis mostrano una situazione critica per l’affluenza: tra il 31% e il 39% degli elettori potrebbe presentarsi alle urne, ben al di sotto della soglia necessaria. Il 62% degli italiani è a conoscenza dei referendum, ma solo una minoranza si dice sicura di votare. Tra i votanti, il SÌ prevale nettamente su tutti i quesiti: tra il 79% e l’87% per quelli sul lavoro, e circa il 66% per quello sulla cittadinanza. Il sostegno al SÌ è più forte tra gli elettori di centrosinistra, mentre gli elettori del centrodestra tendono al disinteresse o al voto contrario, soprattutto sulla cittadinanza (Il Sole 24 Ore, Ipsos).
Se i referendum superano il quorum e vincono i SÌ, le norme contestate verranno abrogate.
Sul lavoro: il voto potrebbe riportare maggiore rigidità nei contratti e più tutele contro i licenziamenti, ma senza un ritorno pieno all'articolo 18: si tornerebbe piuttosto al quadro giuridico modificato dalla legge Fornero. Sulla responsabilità negli appalti, si creerebbe un nuovo obbligo per i committenti, con un potenziale effetto positivo sulla prevenzione degli incidenti. Sui contratti a termine, l’introduzione della causale potrebbe ridurre l’uso di forme precarie, ma anche aumentare il contenzioso.
Sulla cittadinanza: la vittoria del SÌ aprirebbe la possibilità di accelerare l’integrazione di circa 1,4 milioni di stranieri extracomunitari, ma non in modo automatico. Resterebbero comunque requisiti su reddito, conoscenza della lingua, assenza di precedenti penali e tempi procedurali che possono arrivare fino a tre anni. L’impatto concreto dipenderà anche da quanti saranno effettivamente in grado o interessati a fare richiesta secondo le nuove condizioni (Pagella Politica).