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L’aspirazione del lettore

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di 
Clara
 
Attene
di: redazione
28/4/2020
L’aspirazione del lettoreL’aspirazione del lettore

Questa settimana, con il nostro nuovo approfondimento, parliamo di letteratura con una bella riflessione di una scrittrice indiana, Sumana Roy, che sulle pagine della Los Angeles Review of Books, esplora gli effetti del desiderio di crearsi una propria cultura. Buona lettura!

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Chi è il lettore “provinciale”? Per escludere ogni equivoco, cominciamo con il dire che quell’aggettivo si fa riferimento al senso con cui è utilizzato in storia dell’arte – quindi nell’accezione di ritardo, spesso involontario o incolpevole – più che al senso comune che lo caratterizza come una ristrettezza mentale, più o meno (auto)imposta.

La sostanza – questa è la riflessione  della scrittrice indiana Sumana Roy, pubblicata sulla Los Angeles Review of Books – è che questo tipo di lettore ha un divario che desidera colmare.

Facendo appello alla propria esperienza di persona cresciuta in una cittadina di provincia, Roy spiega come in contesti simili la fatica di accedere a giornali e libri generi un netto disinteresse o, al contrario, una fame insaziabile di letture. Il divario con cui tocca confrontarsi è geografico e temporale, ma per assimilazione – per l’appassionato lettore – diventa personale.

Essere lontani dagli “ombelichi del mondo” culturali produce un senso di frustrazione, ma, in un circolo vizioso e virtuoso al tempo stesso, anche di epifania: leggendo, scopriamo che altre persone vivono (e raccontano) esperienze simili alle nostre. E, a dispetto della distanza fisica e temporale, ci sentiamo simili a loro.

Il ritrovarsi “un passo indietro” può anche essere scollegato dalla geografia: Roy cita il fondatore della Los Angeles Review of Books, Tom Lutz, che racconta come, pur essendo cresciuto a solo un’ora di distanza da New York, da giovane non aveva nemmeno idea, per esempio, dell’esistenza della New York Review of Books.

Le conseguenze di questa asincronia possono essere diverse. Per esempio, c’è la “sindrome dell’accademico”: l’ammirazione verso chi sa di più, verso chi è non solo più vicino alle fonti del sapere, ma le rappresenta lui o lei stesso/a. Un desiderio di sapere che ha la forma della mancanza, che diventa spesso un’aspirazione permanente, anche quando magari la persona è riuscita costruire, formalmente o meno, una propria cultura.

Non aver modelli sottomano, d’altro canto, lascia spazio alla creatività: per sopperire al bisogno, si compensa con l’ingegno per trovare soluzioni alternative. Un impegno che, a sua volta, genera nuove forme di cultura.

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