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L’anno che verrà: un ventenne sgraziato

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di 
Beniamino
 
Pagliaro
di: redazione
18/12/2019
L’anno che verrà: un ventenne sgraziatoL’anno che verrà: un ventenne sgraziato

Pubblichiamo l’introduzione al nostro libro “L’anno che verrà – 2020” del founder di Good Morning Italia, Beniamino Pagliaro

L’anno che verrà ci porta nei nuovi anni Venti e vuole ricordarci che a volte il mondo sembra comportarsi proprio come un ventenne sgraziato. Ha delle idee ma non sa sempre che farsene, ha paura, forse, e non vuole saperne di lezioni del passato.

L’economia globale crescerà del 3,4%, più del 2019, ma ogni previsione è fragile e molti fattori possono produrre effetti negativi. La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina può rallentare o rinviare la crescita. L’industria dell’auto vende sempre meno. La spesa per il petrolio può frenare nei prossimi anni per aiutare a raggiungere gli obiettivi sul cambiamento climatico. Sono tutte crisi di domanda: stiamo imparando a usare meglio le risorse naturali e a fare più con meno. Vale per le aziende, che diventano più efficienti (ma possono tagliare posti di lavoro) e per le persone.

Una parola chiave è fiducia: la parte fortunata di abitanti del mondo (e imprese) siede su una montagna di denaro ma decide di non investire perché i rischi sono troppi. Non ha fiducia, tanto da pagare un prezzo pur di tenere i soldi fermi. È l’era dei tassi negativi, che tra l’altro lascia le banche centrali quasi impotenti nel caso di una vera recessione.

Il rischio è perfino maggiore se pensiamo che le banche centrali lasciano implicitamente il campo alla classe politica. Non c’è da stare troppo sereni e i paradossi si possono elencare: la Germania, che potrebbe investire senza problemi, dibatte da anni senza decidere. Il Regno Unito si è infilato nel vortice di Brexit (e probabilmente riuscirà a uscire dall’Unione). Gli Stati Uniti di Donald Trump hanno tagliato le tasse ampliando le disuguaglianze. L’Italia investe decine di miliardi su politiche assistenziali e inconcludenti. Certo, c’è la Cina, dove banca centrale e Stato, dove imprese e Stato, sono una sola cosa: gioca un’altra partita.

La realpolitik di Trump nell’affrontare la Cina dimostra l’apparente debolezza dei sistemi aperti alle prese con avversari chiusi. Finita la fase del negoziato, l’America dovrà tornare a imporre il proprio modello aperto, oppure rischierà la leadership globale. Sul fronte commerciale, la Cina ha già superato gli Stati Uniti come primo esportatore in gran parte del mondo. È l’influenza politica, militare e culturale che è ora in gioco. Gli standard sui diritti umani e sulla libertà di pensiero, opinione e protesta ci sembrano acquisiti. Ma vanno difesi.

Nell’anno che si chiude la Cina ha avuto un problema sui prezzi causato da una peste suina. In alcuni casi la riluttanza dei paesi africani da cui sono importati gli animali a riferire i problemi a Pechino ha aumentato le difficoltà. Suona familiare? Pensate al caso di Boeing, costretta a mettere a terra centinaia di 737 Max perché i segnali di allarme non erano stati ascoltati. Oppure alla quotazione del secolo dei sauditi di Aramco, che hanno dovuto ripiegare in patria perché al mercato globale non piaceva il prezzo. Abbiamo molti più dati, è vero, ma spesso non riusciamo a metterli a sistema. C’è un problema di fiducia, nella vita delle imprese come in politica.

Le democrazie avanzate sono in crisi funzionale: solo chi dice grandi bugie agli elettori sembra in grado di trovare il grande consenso. Vince le elezioni, o ci va vicino, e poi molto spesso non può fare un decimo di quel che ha promesso. La contesa politica diventa personalistica: l’avversario è “nemico del popolo”. I populisti guadagnano invitando a guardare il passato, i bei tempi andati. E hanno successo: Trump potrebbe vincere ancora, anche per l’assenza di una proposta solida tra i democratici.

Le grandi aziende diventano sempre più grandi: il gioco funziona splendidamente, se guardiamo i profitti, meno per consumatori e lavoratori. Business Roundtable ha dichiarato in un manifesto che prima del valore in borsa deve esserci la sostenibilità, includendo anche il benessere dei lavoratori, l’impatto sull’ambiente e la società. Ma chi lo decide? L’epoca digitale obbliga all’efficienza e tende al monopolio: le battaglie antitrust sono già in corso, ma dovremo saper trovare nuove soluzioni per nuovi problemi.

Nel 2020, per la prima volta, il mondo avrà più persone con più di trent’anni che meno. In Italia chi ha più di sessant’anni è più numeroso di chi ne ha meno di trenta. Proprio l’Italia, che dipende dal resto del mondo, dovrà avere coraggio anche se sembra impaurita: coraggio di investire, coraggio di scegliere la sfera di influenza, coraggio di inseguire lo sviluppo e non solo garantire le rendite. Altrimenti diventerà un hotel di lusso: ideale per le vacanze, ma nessuno vuol viverci davvero.

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