Con l’arrivo dell’autunno torna sul tavolo dei summit europei lo scottante tema della ratifica delle modifiche al Trattato istitutivo del Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Il Parlamento italiano è infatti l’unico a non avere ancora dato il via libera a questa riforma che per diventare effettiva necessita dell’approvazione da parte di tutti gli Stati membri dell’Eurozona entro il 31 dicembre di quest’anno.
Dopo mesi di rinvii e dilazioni a livello politico, su richiesta delle opposizioni era stata calendarizzata per il 30 giugno la discussione alla Camera sul disegno di legge per arrivare alla ratifica della riforma del Mes. Ma la maggioranza ha deciso di prendere ulteriore tempo approvando un rinvio di quattro mesi. Per capire le ragioni di uno stallo così prolungato serve partire dagli inizi e inquadrare la nascita e le caratteristiche principali del Meccanismo europeo di stabilità.
Alle origini del Mes Il Meccanismo europeo di stabilità è un’organizzazione intergovernativa con sede in Lussemburgo approvata il 25 marzo 2011 dal Consiglio europeo ed entrata in vigore l’8 giugno del 2012 prendendo a tutti gli effetti il posto del Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf). Il cosiddetto “Fondo Salva Stati” era infatti stato lanciato nel giugno del 2010 come strumento provvisorio di supporto ai Paesi dell’Eurozona in difficoltà economica. La misura aveva rappresentato un tardiva risposta dell’Unione europea alla crisi del debito greco, scoppiata tra la fine del 2009 e l’inizio dell’anno successivo.
Le risorse Dopo l’ingresso nell’area euro dal 1° gennaio 2023, la Croazia ha fatto richiesta di adesione al Mes e ratificato il trattato di riforma, portando il totale dei Paesi a quota 20. Gli Stati hanno per ora versato 80,5 miliardi di euro, ma in realtà il totale del capitale sottoscritto supera i 704 miliardi di euro che possono potenzialmente essere raccolti sul mercato tramite l’emissione di obbligazioni. Nello specifico l’Italia ha versato 14 miliardi di euro, sottoscrivendo un totale di oltre 125 miliardi.
La governance Questo aspetto incide sulla governance del Meccanismo europeo di stabilità: il Mes è gestito dal cosiddetto Consiglio dei Governatori che riunisce i 20 ministri dell’Economia degli Stati dell’Eurozona. Le decisioni del Consiglio per approvare una linea di aiuti a un Paese che ne fa richiesta devono essere prese all’unanimità, ma nel caso di situazioni che mettono a rischio la stabilità finanziaria della stessa area euro vale anche la maggioranza qualificata, corrispondente all’85% dell’intero capitale sottoscritto. Germania, Francia e Italia hanno contribuito singolarmente per una percentuale superiore al 15% e per questo di fatto godono di una forma di diritto di veto anche in questa circostanza.
Gli interventi possibili Il Mes può intervenire in aiuto di uno Stato che sta affrontando una crisi di liquidità, una riguardante il debito sovrano o ancora un momento di difficoltà per l’intero sistema bancario, con diversi strumenti e modalità:
Quando è stato utilizzato Al momento sono cinque i Paesi che hanno fatto richiesta di intervento del Mes dalla sua creazione. Il caso più conosciuto è stato sicuramente quello greco: dopo i primi due pacchetti di aiuti economici del 2010 e del 2012, quelli del 2015 erano stati realizzati nell’ambito del Meccanismo europeo di stabilità.
Ma nel corso degli anni anche Irlanda, Portogallo e Cipro hanno fatto ricorso a prestiti a fronte di un percorso di aggiustamento macro-economico in parallelo. Diverso il caso della Spagna che si è rivolta al Mes chiedendo un prestito per la ricapitalizzazione indiretta delle proprie banche.
La misura post-Covid Nel maggio del 2020, a pochi mesi dall’inizio dell’emergenza Covid anche in Europa, il Consiglio dei Governatori aveva approvato una nuova linea di credito ribattezzata “Pandemic Crisis Support” e basata sulle caratteristiche già esistenti della ECCL.
Con questo strumento si permetteva agli Stati di accedere a una linea di credito corrispondente al 2% del Pil calcolato alla fine del 2019, con la condizione di utilizzare queste risorse per finanziare spese sanitarie, per la cura o ancora la prevenzione, collegate al Covid-19.
La divisione politica Nei mesi successivi si aprì un’ampia discussione politica in Italia sull’opportunità o meno di fare uso di questa linea di credito specifica per sostenere la sanità alle prese con la pandemia. Ma il nodo dei “36 miliardi di euro del Mes” ruotava più attorno alle condizioni a cui sarebbero state fornite queste risorse e al significato politico del ricorso al Meccanismo europeo di stabilità, che sull’utilità o meno di questo strumento.
Il Mes era diventato immediatamente un tema divisivo per la stessa maggioranza che sosteneva il governo Conte II. Il Movimento 5 Stelle lo considerava “pericoloso”, mentre Pd e soprattutto Italia Viva spingevano per richiedere queste risorse aggiuntive. Anche l’opposizione era tutt’altro che unita: se Forza Italia si diceva a favore, Lega e Fratelli d’Italia erano fortemente contrari.
Posizioni contrapposte I favorevoli alla richiesta di questi 36 miliardi di euro da destinare alla Sanità giocavano sul tasso di interesse molto basso, praticamente vicino allo zero, a cui sarebbero arrivate queste risorse da indirizzare verso un settore così centrale. Un altro argomento riguardava il fatto che i soldi del Mes sarebbero costati meno di qualsiasi altro prestito a prezzo di mercato.
Dall’altra parte, i contrari sostenevano che il ricorso al Mes avrebbe di fatto aperto alla possibilità di un futuro commissariamento dell’Italia, citando l’ormai celebre caso greco con la Troika (Fondo monetario internazionale, Commissione europea e Banca centrale europea) costringendola a concordare, se non imporre, un piano di riforme nel segno dell’austerità. Un ulteriore punto riguardava il rischio che un accesso a questi fondi sarebbe stato percepito da parte dei mercati come un segno di debolezza, spianando la strada a una nuova possibile speculazione contro l’Italia.
In particolare il primo tema era quello particolarmente più utilizzato dai detrattori del Mes, nonostante le istituzioni europee in più occasioni avessero rassicurato la presenza di una sola condizione per poter accedere a queste risorse, ossia il loro utilizzo esclusivo per il solo settore sanitario durante l’emergenza Covid. Concetto ribadito anche in una lettera firmata dal vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis e dal Commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni.
La riforma del Mes Il dibattito attorno a questo utilizzo particolare del Mes ha però rappresentato una relativamente breve parentesi rispetto a una discussione iniziata nel 2019 e ancora oggi aperta sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità. Nel giugno di quell’anno, l’Eurogruppo ha avviato un biennio di negoziati per arrivare a modifiche del trattato istitutivo dello stesso Mes che sono state approvate il 27 gennaio del 2021 dai ministri dell’Economia dell’area euro, compreso quello italiano Roberto Gualtieri. Ma affinché la riforma del Trattato possa diventare effettiva serve la ratifica da parte di tutti gli Stati membri. Al momento quello italiano è l’unico a non aver ancora approvato le modifiche al Meccanismo europeo di stabilità.
Cosa cambia? La riforma del Mes di cui si discute ormai da quattro anni poggia sostanzialmente su tre pilastri.
Il ritardo italiano L’intesa europea sulle modifiche al trattato del Mes hanno anticipato di qualche settimane il passaggio tra il governo Conte II e quello Draghi, entrato in carica il 13 febbraio 2021. Nonostante le posizioni europeiste dell’ex banchiere centrale, l’esecutivo era sostenuto da forze come la Lega, storicamente contraria alla riforma, e il Movimento 5 Stelle, su posizioni perlomeno scettiche.
Anche dopo i richiami europei e le rassicurazioni arrivate nel marzo 2022 dall’allora ministro dell’Economia Daniele Franco sulla volontà di portare in Parlamento il disegno di legge per la ratifica del trattato del Mes, il provvedimento non è mai arrivato in Aula anche a causa della caduta dell’esecutivo nel luglio dello stesso anno.
La prime mosse del governo La questione è diventata, se possibile, ancora più centrale sotto il governo Meloni, entrato in carica il 22 ottobre 2022, con una maggioranza guidata dal partito della premier Fratelli d’Italia, che ha avuto fin dagli inizi una posizione di netta contrarietà rispetto alla riforma. In particolare, è sempre stato sottolineato il rischio di un potenziale commissariamento del Paese una volta fatta la richiesta di intervento ed è contestato il possibile utilizzo da parte della Germania per aiutare il settore bancario in difficoltà, come illustrano le dichiarazioni degli esponenti dell’allora partito d’opposizione raccolte da Il Foglio.
Non è un caso che a fine novembre 2022 la Camera abbia votato una mozione della maggioranza che invita il governo a non ratificare le modifiche “alla luce dello stato dell’arte della procedura di ratifica in altri Stati membri e della relativa incidenza sull’evoluzione del quadro regolatorio europeo”.
Il pronunciamento tedesco Il riferimento era in particolare alla situazione della Germania, unico altro Paese che allora non aveva ancora portato a termine la ratifica. In quel caso però si attendeva il pronunciamento della Corte costituzionale federale sul ricorso presentato contro l’accordo raggiunto nel gennaio 2021 sulla riforma stessa. Il 9 dicembre 2022 la Corte di Karlsruhe ha però dichiarato inammissibile il ricorso di costituzionalità, spianando così la strada al via libera del Bundestag.
Dalla fine dell’anno scorso, quindi, l’Italia è di fatto rimasto l’unico Paese a bloccare l’entrata in vigore della riforma del Mes, nonostante il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti avesse detto nel novembre 2022 di condividere la posizione del precedente esecutivo sulla necessità di ratifica.
Il pressing dell’Ue Allo stesso tempo però le istituzioni europee hanno iniziato a chiedere insistentemente al nostro Paese di procedere al via libera della riforma. Il tema è tornato a essere di estrema attualità nel corso dell’Eurogruppo di fine aprile 2023, in cui sia il presidente Paschal Donohoe che il direttore esecutivo del Mes Pierre Gramegna hanno chiesto di approvare in tempi rapidi la riforma, per rendere operativa in particolare la novità riguardante la funzione di backstop del Mes nei confronti del Fondo di Risoluzione comune per le banche, anche alla luce delle turbolenze nel settore creditizio statunitense e del caso Credit Suisse in Svizzera. Lo stesso Gramegna ha chiesto di arrivare a una ratifica entro la fine dell’anno, quando scadranno gli accordi bilaterali sul backstop.
Una partita più ampia Nelle settimane precedenti, la stessa premier Giorgia Meloni aveva giustificato i continui rinvii nella ratifica con la volontà di discutere del Mes in una prospettiva più ampia che riguardasse l’orizzonte di Unione bancaria e di un mercato dei capitali unico a livello europeo. Ma la vera partita politica ruota attorno alla volontà dell’esecutivo italiano di sfruttare il Mes per ottenere dei risultati sul fronte della modifica del Patto di Stabilità e sulla garanzia europea dei depositi bancari.
L’obiettivo di Roma sarebbe arrivare a una forma di scambio tra la ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità e le richieste di scorporare le spese per investimenti green e digitali, compresi quelli del Pnrr, dal calcolo per il rispetto dei parametri dei conti pubblici nell’ambito delle nuove regole di bilancio europee. Una proposta che non è stata accolta all’interno della prima bozza di riforma del Patto di Stabilità presentata lo scorso 26 aprile dalla Commissione europea e difficilmente lo sarà nel corso del negoziato con le altre capitali.
La posizione di Roma è stata ribadita dallo stesso Giorgetti a Donohoe a margine della riunione dei ministri delle Finanze e dei banchieri centrali del G7 in Giappone tra l’11 e il 13 maggio. L’Eurogruppo del 15 maggio ha espresso nuovamente la necessità da parte dell’Italia di arrivare a una ratifica in tempi rapidi, anche se nell’occasione il ministro dell’Economia italiano ha specificato che il Parlamento non è ancora pronto al voto. Anche il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis ha sottolineato che una trattativa che tenga insieme Mes e Patto di Stabilità renderebbe impossibile qualsiasi progresso sui due fronti.
Discussioni e bocciature Nonostante la conferenza dei capigruppo della Camera abbia deciso lo scorso 30 maggio di calendarizzare per il 30 giugno la discussione a Montecitorio sulla proposta di legge delle opposizioni di ratifica della riforma del Mes , il governo ha recentemente espresso un duro giudizio sullo stesso Meccanismo europeo di stabilità.
Intervistata da Bruno Vespa nel corso del Forum “L’Italia che verrà”, la premier Giorgia Meloni ha parlato del Mes come di uno “stigma che rischia di tenere bloccate delle risorse in un momento in cui invece stiamo tutti cercando risorse e che non verrebbe utilizzato da nessuno”, ribadendo la necessità di rivedere lo strumento nel suo complesso e nell’ambito del nuovo Patto di Stabilità (Avvenire). Posizione analoga l’ha espressa il vicepremier Matteo Salvini sottolineando come il Mes non sia né utile né conveniente (Il Sole 24 Ore).
Maggioranza in difficoltà Da argomento di dibattito teorico il caso ha assunto una dimensione concreta a livello di politica interna quando lo scorso 21 giugno il capo di Gabinetto del ministero dell’Economia, Stefano Varone, ha inviato una lettera alla commissione Esteri della Camera dove era in discussione il testo del disegno di legge per la ratifica della riforma del Mes presentato dalle opposizioni.
Stando al ministero, il via libera non comporterebbe nuovi oneri sulla finanza pubblica e avrebbe effetti positivi per il nostro Paese con “una migliore valutazione del merito di credito degli Stati membri, con un effetto più pronunciato per quelli a più elevato debito come l’Italia” (La Stampa).
Un parere tecnico a cui la stampa italiana ha dato subito una connotazione politica, evidenziando la contrapposizione tra il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, favorevole alla ratifica della riforma, e la premier Giorgia Meloni, da sempre contraria, come anche la Lega di cui il ministro fa parte.
Una nuovo segnale di queste fibrillazioni interne alla maggioranza di governo è arrivato il giorno successivo, il 22 giugno, quando i rappresentanti di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia non hanno preso parte alla votazione della commissione Esteri che ha approvato il testo del ddl con i soli voti di Pd, Azione, Italia Viva, Alleanza Verdi e Sinistra e l’astensione del M5S (Euractiv).
La posizione della premier In occasione delle comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 29 e 30 giugno, la presidente del Consiglio Meloni è tornata a parlare del Mes con toni molto chiari. “L’interesse dell’Italia oggi è affrontare il negoziato sulla nuova governance europea con un approccio a pacchetto, nel quale le regole del Patto di Stabilità, il completamento dell’Unione bancaria e i meccanismi di salvaguardia finanziaria si discutano nel loro complesso, nel rispetto del nostro interesse nazionale” ha detto la premier, ribadendo una posizione già espressa in altri frangenti e collegando il Meccanismo europeo di stabilità con altri dossier aperti.
“Non è il momento di ratificare il Mes, mi assumerò le mie responsabilità” ha poi aggiunto Meloni durante una replica alla Camera, esattamente due giorni prima dell’inizio della discussione sul tema a Montecitorio (ll Sole 24 Ore).
Tutto rimandato Come pareva ampiamente prevedibile sulla base delle dichiarazioni dei giorni precedenti, il dibattito in Aula non ha portato a nulla di concreto se non a un rinvio della questione a inizio novembre. Lo scorso 5 luglio i rappresentanti dei partiti della maggioranza hanno infatti dato il via libera con 195 voti favorevoli e 117 contrari a una sospensiva di quattro mesi sulla ratifica del trattato del Meccanismo europeo di stabilità.
articolo aggiornato all' 11/09/2023