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Il nervosismo dell’Iran

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di: redazione
28/12/2019
Il nervosismo dell’IranIl nervosismo dell’Iran

Pubblichiamo uno dei testi del nostro libro “L’anno che verrà – 2020” scritto da Viviana Mazza

Non si può immaginare il 2020 in Iran senza prendere in considerazione la politica americana. Nel 2018 Donald Trump ha abbandonato l’accordo sul nucleare iraniano, il Joint Comprehensive Plan of Action, firmato dall’Amministrazione di Barack Obama insieme a Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia, Germania, oltre all’Unione europea. Trump ha ripristinato sanzioni contro la Repubblica Islamica e ne ha introdotte di nuove. L’obiettivo dichiarato è di esercitare “massima pressione” sull’economia iraniana per convincere Teheran a negoziare un accordo migliore (per Usa e alleati) di quello di Obama, che includa cioè restrizioni sui missili balistici e sull’influenza esercitata nella regione attraverso gruppi come Hezbollah libanese o la Jihad Islamica palestinese. Molti osservatori dubitano che l’Iran sia pronto a cedere, nonostante le sanzioni contro l’export di petrolio abbiano duramente colpito l’economia.

Nel 2020 sono probabili nuove proteste contro il carovita, come quelle che hanno visto coinvolte decine di città iraniane sia nel 2017-18 sia alla fine del 2019. La situazione è così esplosiva che qualunque cosa può accadere. È evidente il nervosismo del regime. Anche in Paesi nell’orbita sciita quali Iraq e Libano le rivolte del pane, pur essendo contro tutti i partiti, hanno in parte come bersaglio la politica di Teheran.

Alcuni dissidenti all’estero non fanno mistero di sperare che il popolo venga spinto dalla crisi economica a sollevarsi per un cambio di regime nella Repubblica Islamica che celebra nel febbraio 2020 il suo quarantunesimo compleanno. Altri ritengono che l’ostilità tra Washington e Teheran non aiuti l’opposizione che vuole vere riforme del sistema. Alcuni falchi alla Casa Bianca – come pure in Israele – hanno auspicato anche un attacco militare contro l’Iran. Senza contare che una guerra potrebbe iniziare senza volerlo, data la volatilità della situazione. Ci sono stati nel 2019 “incidenti” nel Golfo: petroliere danneggiate, un importante sito petrolifero saudita bombardato, un drone americano abbattuto dai Pasdaran. Come ha spiegato il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, Trump non può pretendere di avere “l’esclusiva sull’imprevedibilità”: anche Teheran può rispondere in modo imprevedibile e il rischio è il caos. Teheran potrebbe colpire le truppe americane nella regione, in Israele attraverso Hezbollah e le petroliere nel Golfo di Hormuz, facendo andare alle stelle il prezzo del petrolio.

Se nel novembre 2020 un altro presidente venisse eletto le cose potrebbero in parte cambiare. Tre dei quattro principali candidati democratici alla Casa Bianca – Joe Biden, Bernie Sanders e Pete Buttigieg – promettono di ripristinare l’accordo di Obama; Elizabeth Warren critica Trump per aver messo gli Stati Uniti nella posizione di lanciare un’altra guerra infinita in Medio Oriente. Anche se nella campagna elettorale Usa il dibattito sulla politica estera resta al momento marginale, per l’Iran non è indifferente chi occuperà la Casa Bianca.

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