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Che cosa abbiamo imparato dallo smart working

AtteneLogo Good Morning Italia
di 
Clara
 
Attene
di: redazione
10/3/2020
Che cosa abbiamo imparato dallo smart workingChe cosa abbiamo imparato dallo smart working

Lunedì mattina abbiamo fatto la nostra mensile “call team”, una riunione di mezz’ora in videoconferenza in cui, da redazione diffusa quale siamo, ci riuniamo, ognuno al proprio tavolo, per aggiornarci e discutere su novità e necessità tecniche ed editoriali.

Nel nostro caso lo smart working, di cui stiamo parlando tutti in questi giorni, è una soluzione richiesta da “cause geografiche di forza maggiore”, e qui vi raccontiamo che strumenti usiamo e cosa stiamo imparando da questo modo di lavorare.

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Gli strumenti
Il nostro kit per il lavoro a distanza è snello, “da bagaglio a mano”, potremmo dire:

  • abbiamo sviluppato internamente un software proprietario che è il nostro Editor e usiamo Mailchimp, programma per l’invio di newsletter, con cui inviamo i briefing;
  • su Google Drive abbiamo invece alcuni documenti condivisi che ci servono per gestire il lavoro – per esempio, un foglio di calcolo con i turni mensili – e per produrre il briefing – come l’agenda degli appuntamenti della settimana e alcuni file dedicati a raccogliere i link per le letture della sezione Weekender e le aperture della domenica;
  • per le comunicazioni rapide abbiamo scelto Slack, piattaforma di messaggistica che permette di scambiarsi file e immagini e di creare dei canali tematici all’interno dei quali segnaliamo, ad esempio, un link a una notizia interessante o la necessità di modificare un turno di lavoro;
  • per le videochiamate, infine, usiamo Zoom, una sala riunioni virtuale, a cui ci si può collegare via computer e telefono.

Che cosa ci sta insegnando lo smart working

  • Lavorare a distanza richiede una certa dose di autodisciplina. Ma il risultato è che poche – la quantità fa la differenza! – regole chiare, se condivise e rispettate, possono generare sufficiente armonia e consentire un ritmo produttivo regolare.
  • Lo smart working aguzza l’ingegno. In primo luogo, per definire cosa è fondamentale e cosa no (vedi le regole condivise di cui si parlava al punto precedente). E poi per trovare, di volta in volta, soluzioni adatte alle necessità che si presentano.
  • L’effetto “particella di sodio”, conveniamo, è quasi inevitabile. Ma è curabile, con un po’ di proattività: hai una domanda, un dubbio, una proposta? Scrivi o chiama chi può darti un chiarimento.
  • Per lo stesso motivo, da qualche tempo abbiamo deciso di fare delle video chiamate periodiche, settimanali o mensili a seconda dell’argomento, per guardarci in faccia e parlare, “avvicinandoci” un po’ più del solito. E, almeno una volta l’anno, un incontro in carne e ossa (possibilmente anche conviviale) è d’obbligo (virus permettendo)!
  • Con il crescere del team, come tutte le aziende, abbiamo avuto la necessità di definire meglio i ruoli e distribuire gli incarichi. Questo ha una ricaduta positiva anche sulla gestione della distanza: ruoli definiti e condivisi aiutano a ridurla ulteriormente, inquadrando chi è il riferimento giusto rispetto all’esigenza che si ha e ottimizzando il tempo che ognuno dedica al lavoro.
  • Lavorare lontani può essere stressante perciò flessibilità e cooperazione sono due doti su cui è importante l’investimento di ciascuno.

Per riassumere con una metafora la nostra esperienza con lo smart working, potremmo dire che somiglia alle reti elastiche con cui giocavamo da bambini.

Il progetto è la cornice che tiene la rete; la trama è fatta dall’attività delle persone e dagli strumenti. L’atteggiamento con cui lavoriamo è ciò che rende la rete più elastica e il risultato migliore.

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